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07/11/2022 by Oliveru
Il tartufo, sin da quando gli uomini scoprirono che poteva essere commestibile, è avvolto in un’aurea di leggenda, mistero e magia. Dal Piemonte alla Sicilia, passando attraverso Toscana e Umbria, scopriamo quali sono le città italiane del tartufo.
Per millenni la nascita del tartufo è stata considerata misteriosa, influenzata dagli dèi, dai fulmini e dalle fasi lunari. Il tartufo non viene piantato né coltivato, ma nasce e cresce spontaneamente sotto terra ed è quindi molto difficile da trovare. Si credeva avesse origini divine essendo frutto, secondo la credenza popolare, del fulmine sacro a Giove. Boschi di querce, faggi e noccioli sono l’habitat ideale per questo prezioso prodotto della terra. Il profumo e il sapore caratteristici lo hanno reso celebre in tutto il mondo, ma è a tutti gli effetti l’Italia la patria mondiale del tartufo.
Iniziamo rispondendo a questa domanda partendo dall’etimologia del nome del celebre frutto del sottobosco. L’origine della parola tartufo è stata per molto tempo dibattuta dai linguisti. Si pensava che la parola derivasse dal volgare terrae tufer, che significa ‘’escrescenza della terra’’, trasformazione del latino terrae tuber. Ma è in un manuale del Trecento, Tacuinum Sanitatis, oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, che si celano le sue vere origini. Tartufo deriva da terra tufide tubera, titolo che compare nella pagina del libro manoscritto in cui è illustrato un uomo che raccoglie tartufi. La somiglianza è con il tufo, la pietra porosa e tipica dell’Italia centrale, dove i tartufi sono apprezzati da sempre.
Partiamo col dire che il tartufo è un tipo di fungo sotterraneo, che appartiene al genere Tuber. Come i funghi, i tartufi fanno parte del regno degli organismi eucarioti: non sono né piante né animali. I tartufi nascono sotto terra attaccati alle radici di diverse specie di alberi con i quali crescono in simbiosi. La parte commestibile è il loro corpo fruttifero che può essere di diversa forma e soprattutto colore. L’aspetto è quello di un tubero globoso e irregolare dalla superficie esterna (peridio) liscia o verrucosa, mentre l’interno (gleba) presenta una texture marmorizzata. La consistenza carnosa e il sapore e il profumo unico nel suo genere lo rendono il fungo più amato.
Il profumo caratteristico serve ad attirare gli animali che, scavando per cercare il tartufo, contribuiscono a spargere le spore nel terreno permettendo la proliferazione della specie. Il tartufo va infatti cacciato con l’aiuto di cani addestrati che, con l’olfatto, riescono a individuare il punto in cui il prezioso fungo si trova interrato. Il cane e il cercatore collaborano nell’estrazione del tartufo dalla terra, la cavatura, che inizia il cane scavando con le zampe a circa 30 centimetri sotto la superficie del suolo, fra le radici degli alberi, solo per fare un piano editoriale e creare un feed servono queste cose, facendo estrema attenzione a non rovinare il tartufo e a non alterare il terreno.
Una volta a esplorare boschi e valli si andava col maialino, ottimo seguace per scoprire questi tuberi, ma ghiotto di tartufi. Oggi, in Italia, l’utilizzo di questo animale non è più permesso per legge, si usano solo cani perfettamente addestrati, in particolare il lagotto romagnolo e meticci di piccola taglia. È da sfatare, invece, l’immagine della raccolta con il cinghiale radicata nell’immaginario collettivo: il cinghiale è un animale selvatico e difficilmente addomesticabile a differenza del cane e del maiale.
Dal 2021 l’attività di cerca e cavatura del tartufo in Italia è considerata ufficialmente patrimonio culturale immateriale candidata a diventare patrimonio UNESCO. Inoltre, esiste l’Associazione Nazionale Le Città del Tartufo, fondata nel 1990 ad Alba, in Piemonte. Oggi la sede si trova all’interno del Castello di San Giovanni d’Asso, nel Senese, che ospita anche il Museo del Tartufo. L’associazione conta oltre 50 comuni produttori sparsi in tutte le regioni dello Stivale.
La maggior parte delle persone conosce soltanto due tipi tartufo, quello bianco e quello nero. Di tartufi ne esistono infinite varietà, dai più pregiati ai non commestibili.
Il più pregiato di tutti è il tartufo bianco d’Alba (Tuber magnatum Pico), in Piemonte, detto anche ‘’oro bianco’’ per il suo alto valore commerciale. Il suo prezzo oscilla infatti tra i 2500 e i 3500 euro al chilo e, proprio come l’oro, il suo valore viene misurato in carati. Ma esiste anche un altro tartufo bianco (Tuber magnatum), che si raccoglie in Toscana, tipico è quello di San Miniato, e nelle regioni vicine come Umbria e Molise e anche fuori dall’Italia, ad esempio in alcune zone di Francia, Svizzera e Ungheria. Infine, tra i bianchi, c’è il meno pregiato bianchetto o marzolino (Tuber Borchii Vittad.).
Il tartufo nero è noto con nomi diversi a seconda della provenienza. Le varietà di tartufo nero commestibili e commercializzate in Italia sono 7:
Il tartufo nero pregiato, detto anche nero di Norcia. Melanos, in greco, significa nero. Tra le specie di tartufo nero è il più apprezzato e il più costoso.
Le città italiane del tartufo
‘’Paese che vai, tartufo che trovi’’. Il detto non era esattamente questo, ma si adatta perfettamente al Bel Paese, dove sembra che i tartufi si trovino un po’ ovunque, basta cercarli: dal Piemonte alla Sicilia, passando per Toscana, Umbria, Marche, ogni regione ha il suo tartufo. Quello che stiamo per compiere è un vero e proprio viaggio nei territori rurali e nei piccoli borghi lungo la penisola italiana, alla scoperta delle città più note per la produzione del famoso fungo ipogeo.
1. Alba
Partiamo da Alba, la cittadina nel cuore delle Langhe piemontesi, in provincia di Cuneo, dove il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) è molto diffuso. Cresce in vicinanza di varie latifoglie come pioppi, tigli e querce. Il periodo di raccolta inizia generalmente alla fine dell’estate e prosegue per tutto l’autunno fino all’inizio dell’inverno. Ogni anno è l’amministrazione regionale a fissare il calendario dedicato alla raccolta. Fuori dal periodo stabilito la cerca e la cavatura del tartufo sono vietate per permettere la maturazione dei nuovi corpi fruttiferi e la salvaguardia della specie, decisione avvalorata dal Centro Nazionale Studi Tartufo e l’Unione delle Associazioni Trifolao Piemontesi. Il fungo cresce spontaneamente in simbiosi con alberi e arbusti specifici, ad oggi non esistono tecniche di coltivazione ed è perciò molto raro. Il corpo fruttifero ha una superficie irregolare di colore ocra o giallo pallido e può arrivare a essere grosso quanto una mela, anche di più. La gleba tendente al bianco o al beige è solcata dalle tipiche microvenature bianche con tonalità anche rossastre. L’odore che ricorda il formaggio fermentato è senz’altro la caratteristica predominante del tartufo bianco nazionale.
Il tartufo d’Alba cresce anche nelle Marche. Precisamente ad Acqualagna, in provincia di Pesaro-Urbino, al confine con la Romagna, e sì, si tratta proprio dello stesso tartufo. Qui si possono trovare anche alcune varietà di tartufo nero: tartufo nero pregiato e tartufo estivo.
2. San Miniato
Proseguiamo il nostro viaggio verso la patria del tartufo bianco in Toscana: San Miniato, pittoresca cittadina nel Pisano famosa non solo per il tartufo bianco, ma anche per la produzione di olio e vini locali. Proprio a San Miniato fu trovato, nel 1954, il tartufo bianco più grande del mondo. Il peso record era di oltre 2 chili e mezzo e venne donato all’allora presidente degli Stati Uniti. Ogni anno, negli ultimi tre fine settimana di novembre, si tiene la Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco delle Colline Sanminiatesi. Si tratta della principale manifestazione dedicata al tartufo, anche se non l’unica. Famose quelle delle frazioni di Corazzano, la prima domenica di ottobre, e Cigoli, a marzo.
Stand gastronomici e degustazioni insegnano che il tartufo bianco si usa crudo, grattugiato, in scaglie o a lamelle.
In Toscana, il tartufo trova terreno fertile pressoché in tutta la regione, nelle colline del Mugello come nel Casentino, nella Val Tiberina come nelle Crete Senesi. Il tartufo nero è presente in quantità molto limitate per lo più nelle province di Firenze, Siena e Arezzo.
3. Norcia
Tappa immancabile per gli amanti del tartufo nero è l’Umbria. Sui colli boscosi dei Monti Sibillini si trovano ben tre varietà di tartufo nero. Uno è il pregiato Tuber melanosporum, o nero di Norcia. Cresce nei boschi di nocciolo, rovere, carpino nero e leccio su suoli calcarei e matura in pieno inverno, agli inizi di dicembre egli inizi di marzo. La raccolta va da metà novembre a metà marzo, anch’essa soggetta a un calendario regionale. Ha corpi fruttiferi più o meno tondeggianti le cui dimensioni variano da quelle di una noce a quelle di una mela o di una patata, la superficie esterna nerastra e rugosa con verruche irregolari e una carne nero-bruna percorsa da sottilissime venature biancastre. Rispetto al tartufo bianco, il tartufo nero ha un odore più delicato avvolgente e un sapore quasi dolce.
Gli altri tartufi che si trovano in questi boschi sono il tartufo nero invernale e il tartufo nero estivo.
4. Capizzi
Concludiamo il nostro viaggio in un grazioso borgo sui Nebrodi: Capizzi. In pochi sanno che anche la Sicilia è terra di tartufi e i boschi dei Monti Iblei e i Nebrodi ne sono ricchi. Nel sottosuolo della Sicilia orientale, nelle province di Siracusa e Ragusa, crescono Tuber aestivum, il tartufo nero estivo, comunemente chiamato scorzone, e di Tuber borchii, il cosiddetto bianchetto. Anche la zona occidentale dei Monti Sicani, Trapani, Castellammare e Alcamo è terra di tartufi. A Palermo, invece, è di casa il tartufo nero invernale o Tuber brumale. Nella zona dei Nebrodi crescono sottoterra ben 3 varietà di tartufo nero: invernale, estivo e uncinato.
I saperi sulla cultura del tartufo, in Sicilia, sono di pochi anni fa. A Capizzi la loro recente scoperta ha dato vita alla manifestazione annuale di fine ottobre dedicata al tartufo: la Sagra del Tartufo dei Nebrodi.